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Storia della distillazione 1


Per comprendere il processo della distillazione ritengo opportuno fornire un minimo inquadramento storico.

Già Aristotele sosteneva che era possibile potabilizzare l’acqua attraverso la distillazione; in pratica si faceva bollire e se ne raccoglievano i vapori in via di raffreddamento. Ne deriva la banale riflessione che fu determinante la scoperta del fuoco e che forse altre popolazioni antiche (Sumeri, Ittiti, Assiri, ecc.) possano aver sperimentato qualcosa di simile.

Certamente una primitiva distillazione di cereali, specialmente il riso, era presente in Cina e in India.

Nell’antico Egitto compaiono geroglifici su papiri e dipinti musivi che rappresentano alambicchi rudimentali e ad Alessandria esistevano già vasi per la distillazione delle erbe e delle piante.

Questo procedimento potrebbe aver trovato spunto dall’impiego estetico del solfuro di antimonio riscaldato (gli splendidi occhioni neri di molte maschere funerarie) anche se tecnicamente si dovrebbe parlare di sublimazione e non di distillazione.

Anche i Romani furono coinvolti nella distillazione e se ne trovano tracce nelle Landes, a Sanguinet (Delaforce 1989, 18). Si distillavano i pini marittimi, diffusissimi nella zona, con un processo che era molto prossimo a quello utilizzato per ottenere la carbonella; non vi era traccia di alambicco e dal cumulo di alberi, disposti a tronco di cono nel cratere, colava lentamente la resina di pino in un recipiente posto alla base della fossa.

La raccolta della resina, pur con tecniche diverse, era diffusa nelle Landes fino al secolo scorso.

Tutto questo patrimonio di esperienze non poteva sfuggire agli attenti studiosi arabi ai quali va sicuramente il merito di aver perfezionato e poi diffuso il processo di distillazione ai quattro angoli del loro impero; per inciso quel poco che possiamo leggere di Aristotele e Platone e delle leggi algebriche lo dobbiamo a loro.

Allo stesso modo dobbiamo riconoscenza per averci tramandato le opere dei medici greci, Ippocrate e Galieno ad esempio; sarà poi merito di un benedettino, diventato vescovo di Toledo (1126-1151), la creazione della scuola di traduzione dall’arabo al latino che ci consegnerà anche gli scritti di Averroè e del persiano Avicenna (Abou Ibn Sina).

Peraltro in un antico manoscritto compare fra le “note curiose” la notizia che attribuisce ad Avicenna l’invenzione dell’alambicco nel X secolo e i nomi stessi dello strumento e del suo nobile derivato provengono dall’arabo: Al Hambic e Al Kohl.

Ricordo che anche il mondo arabo era impegnato nella ricerca della pietra filosofale (Al Iksir), da cui il nostro elisir.

Quanto al vocabolo alambicco si deve però anche segnalare che Apicio parla di un ambix (cappello/copertura) utilizzato in un apparecchio distillatore; quindi è ragionevole ipotizzare anche un’origine latina del termine o quantomeno un’adozione presso l’arabo.

Si trattava ovviamente di un prodotto assai lontano dagli attuali distillati di erbe, frutta, vino, vinacce e quanto altro; basta considerare che i primi alambicchi non possedevano la serpentina.

L’utilizzo dei vari derivati restava confinato nell’ambito di quegli antichi sperimentatori ed era sostanzialmente appannaggio delle rinomate scuole mediche; quanto all’alcool prodotto è certo che fosse impiegato nella disinfezione delle ferite indotte da armi da taglio o da punta provocate dalle battaglie del tempo. In un trattato medico del tempo se ne suggerisce l’impiego per le ferite da archibugio.

Bisogna considerare che non era tanto il tipo di ferita inferta a creare pericolo, quanto l’infezione che ne derivava.

Frédéric Lebel, nella nuova edizione del suo libro (2010, 5), sostiene che Giovanna d’Arco fu soprannominata l’Armagnacchese per la presenza nelle sue file di molti nobili guasconi presumibilmente forniti della miracolosa acquavite della loro terra d’origine.

L’impiego dell’alcool è ancora così radicato nelle nostre abitudini che, nonostante la conclamata superiorità del potere disinfettante di altre sostanze come il perossido d’idrogeno, in ogni casa si trova un flaconcino di alcool denaturato.

La Guascogna, così prossima alla Spagna, fu terra di conquista privilegiata e gli Arabi vi soggiornarono per circa due secoli e anche dopo la loro ritirata mantennero fitti scambi commerciali e culturali con la zona.

Il momento decisivo per la storia della distillazione fu il 13/14° secolo, grazie alla relazione intercorsa fra la scuola medica salernitana e quella di Montpellier (entrambe arabe) alla quale apparteneva il primo autore che descrisse con apprezzabile precisione il processo di distillazione: Arnaud de Villeneuve che, per inciso, era pure l’archiatra del pontefice guascone Clemente V (1305-1314).

Particolare non da poco, avendo le sue ricerche suscitato l’interesse dell’Inquisizione, a quei tempi già molto attiva; se la cavò con una condanna pesante, ma comminata, molto opportunamente, solo quattro anni dopo la sua morte (Armagnac 2008, 20). Era purtroppo una prassi normale esumare le spoglie di uomini e animali, intentare loro un processo ed eventualmente metterle al rogo.

Notizie di acquavite si trovano intorno alla metà del 13° secolo anche negli scritti di Sir Francis Bacon e non deve stupire che in Inghilterra si parlasse di distillazione; Bacon aveva studiato a Parigi e numerosi inglesi avevano partecipato alle Crociate.

Appare invece singolare che l’autore già proponesse di impiegarlo per evitare le malattie dei vecchi; fatto che parrebbe supportato da una lunga serie di testimonianze.

Fra le tante evidenzio la splendida vecchiaia del duca Antoine de Roquelaure, grande estimatore e utilizzatore di armagnac, che ebbe la buona sorte di generare 12 figli fra i 65 e gli 82 anni.

Purtroppo la storia non ci aiuta a saperne di più e la personale curiosità (oggi saremmo coetanei) di conoscere la sua precedente vita sessuale resta inevasa.

In quegli anni tutto il bagaglio di conoscenze passò gradualmente nelle mani di monaci e alchimisti, entrambi protagonisti interessati a vario titolo, per giungere infine a quelle dei farmacisti; i vari processi furono lentamente affinati.

Nel 1305 compare il libro del monaco francescano Raimondo Lullo, il “Testamento dell’arte alchemica”; vi si possono trovare testimonianze dettagliate sulla struttura dell’alambicco.

Strano destino per quest’opera: non sarà pubblicata che quasi tre secoli dopo a Colonia (Dufor 1982, 88); problemi squisitamente etici o di concorrenza?

Il sospetto è legittimo, vista la forza contrattuale di abbazie e apotecari.

Ancora maggiori perplessità suscita il fatto che l’autore fosse il nipote di Clemente V; forse pagò anche lo stretto legame col papato avjgnonese.

Bisogna attendere il 1348 quando, per la prima volta, troviamo la testimonianza di consumo extraterapeutico di acquavite della Guascogna.

Risale al 1411 la prima citazione di un “ayga ardentarius”, tale Antoine di Tolosa.

La storia ci testimonia che anche un italiano prese parte agli studi sugli alambicchi: Giovan Battista Porta nel suo “De Distillationibus”del 1609, parla della necessità di eseguire diversi passaggi di distillazione al fine di ottenere un prodotto più puro, rettificato, per giungere alla produzione del solo “cuore” dell’acquavite.

Confesso di essere dibattuto fra un barlume di nazionalistico orgoglio e l’antipatia più schietta; il nostro uomo parteggiava per lo strumento della Charente.

Assolto comunque perché l’alambicco armagnacchese non era ancora stato inventato.

Per quanto riguarda i metodi di distillazione lo studioso Antoine Dejean (Lebel 1998, 20) nel suo testo “Traité raisonné de la distillation” del 1753 certificava tre diversi modi di procedere:

-per Ascensum, quello che permette di ottenere l’alcool dall’alto,

-per Descensum, quello utilizzato dai liquoristi (garofano, noce moscata ecc.),

-per Latus, quello adottato dagli alchimisti.

La consacrazione storica dell’attuale alambicco armagnacchese discende da un brevetto presentato nel 1818 dal Signor Tuillière ma l’impiego di attrezzi sostanzialmente simili è assai precedente; la trasformazione più importante si deve a Edouard Adam che approntò un alambicco che consentiva, con un solo passaggio, di ottenere acquavite a un grado preciso ottenendo il brevetto a Montpellier nel 1801.

Poco dopo interverrà l’innovazione di alimentare in continuo l’apparecchio col vino; era nato l’alambicco armagnacchese.

L’alambicco Adam è famoso anche per essere stato adottato nel 1797 da Antoine da Melet, Marchese di Bonas, che aveva costruito una singolare distilleria posta su tre livelli: al primo le uve erano passate al torchio, nel secondo vinificate e nel terzo era distillato il vino e posto in botte.

La legge di gravità applicata all’armagnac per economizzare tempo e lavoro.

Il suo operato proseguì: ridusse le dimensioni del cappello e allargò il diametro della parte terminale della serpentina per favorire una miglior condensazione.

Antoine de Melet ebbe contatti con scienziati contemporanei come Chaptal, Lacépède e Parmentier e i risultati furono evidenti: alambicco con maggior resa e risparmio consistente di legna.

L’innovazione tecnologica troverà presto degli emuli: De Vidaillan a Entras e Casteras de Seignan a Mourède.

Prima di passare alla parte squisitamente tecnica invito il lettore a soffermarsi su quanti tentativi si fecero in Guascogna per ottenere uno strumento più efficiente; secoli di ricerche praticate anche da semplici artigiani.

Tutto il mondo scientifico s’interessava al problema e già a metà del 1700 in Francia si organizzavano concorsi pubblici che premiavano i tentativi di produrre alambicchi sempre migliori.

Naturalmente il passaggio da un tipo di alambicco all’altro avvenne con gradualità e l’impiego del tipo a repasse fu utilizzato ancora per buona parte del 1800.

Lo scopo precipuo era ottenere acquavite a una gradazione superiore.

Risalgono invece al 1600 le prove documentali della presenza di alambicchi in Guascogna; in realtà il termine utilizzato era quello di “caldaia per bruciare il vino”, quindi non si parlava ancora, perlomeno fra i non addetti alla ricerca, di distillazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

Storia della distillazione 1
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